Saturday, June 08, 2013


Lo sguardo e l’attesa
di Nicolò D’Alessandro



La sensazione più immediata, osservando i lavori, è che ci si ritrovi non di fronte a dei quadri dipinti ad olio in chiave iperrealistica ma ad ingrandimenti in digitale di frammenti filmici o di fotografie. I soggetti ritratti non sono i veri protagonisti ma personaggi presi in prestito per raccontare la quotidianità rappresentata dalle immagini in posa. Più che di taglio fotografico bisogna parlare d’inquadratura. Di una sofisticata storyboard, sceneggiatura disegnata, ovvero della visualizzazione di un’idea di regìa, nella sua complessa pittoricità. Opere che rimandano ad una storia finale ma non necessariamente.
Mi sono chiesto se la pittura di Salvatore Alessi esprima elementi di riconoscibilità del luogo di provenienza e sino a che punto i suoi luminosissimi ed essenziali quadri c’entrino con la Sicilia. C’entrano e come! Penso ad Antonello da Messina e ai suoi sguardi che scrutano, indagano, coinvolgono, creano sensi di colpa, pongono domande. Mai pittore fu più siciliano di Antonello. Mai più fu descritto, con la pittura, il senso più vero e profondo del carattere isolano. Credo che il percorso di ricerca scelto dal pittore si muova su questo assunto. Ne cerca, con fatica e inusuale rigore, le tracce. Vuole realizzare una pittura di scavo non di superfice. Nessuna piacevolezza, nessuna concessione all’esteticità della “bella pittura”.  Vuole, di contro, andare in profondità, per capire. Dipingere per conoscere, non per affermare. In tale condizione operativa appare conseguente l’aspirazione ad una cultura che chiede, a gran voce, risposte ai quesiti del nostro tempo, alle contraddizioni della nostra civiltà.
Le opere dell’artista ostentatamente teatralizzano il problema del doppio. Precisano le attese dell’uomo e rendono equivocabili le sue doppiezze. L’uomo si trova costretto a dialogare con l’altro da se. L’ambigua realtà dello specchio, degli specchi, rimanda lo sguardo agli sguardi. Alcuni sono interrogativi, altri appaiono persi nei pensieri più inespressi. Gli occhi resi dalla fissità fortemente criptici, ci guardano, ci scrutano. Il magnetismo interrogativo, soprattutto l’invariabilità degli sguardi, rimanda agli aspetti più inquietanti della cultura e dell’anima siciliana. Ed è difficile evitare gli sguardi dei suoi misteriosi ipnotici ritratti di amici e conoscenti. Coincidono con quelli di tutti gli altri uomini che furtivi o insistenti comunicano qualcosa o assolutamente niente negli autobus, nei treni, negli ascensori, in quegli spazi chiusi cioè che portano le persone a confrontarsi, interrogarsi soprattutto con gli occhi. Sguardi che si esprimono nel disagio del non conoscersi affatto, sguardi che vogliono intuire e capire chi ci si ritrova davanti. Quanta umanità negata dimora in uno sguardo sconosciuto, se non viene espressa dalla conoscenza e dalla parola. Potrebbero essere sguardi nemici? Sottendere pericoli? Forse. L’impianto pittorico viene sapientemente apparecchiato in un innaturale clima di silenzi. Il silenzio che coincide con l’attesa, con la realtà sconosciuta e ambigua, fonte inevitabile di umanissima inquietudine. Nei suoi provocatori racconti quanti elementi sconosciuti si evidenziano! Le stanze si sovrappongono, diventano labirinto, luoghi ambigui da attraversare in tutta fretta. Stanze alle cui pareti ci sono specchi postati per misurare la propria fisicità, per certificare l’esistenza in vita dei personaggi. Finestre enormi, aperte, sottendono spazi sconosciuti. C’è soprattutto aria di spavento e di attesa, attorno.


Palermo, 2 giugno 2013