Lo sguardo e l’attesa
di
Nicolò D’Alessandro
La sensazione più immediata, osservando i
lavori, è che ci si ritrovi non di fronte a dei quadri dipinti ad olio in chiave
iperrealistica ma ad ingrandimenti in digitale di frammenti filmici o di
fotografie. I soggetti ritratti non sono i veri protagonisti ma personaggi
presi in prestito per raccontare la quotidianità rappresentata dalle immagini
in posa. Più che di taglio fotografico bisogna parlare d’inquadratura. Di una sofisticata storyboard, sceneggiatura disegnata,
ovvero della visualizzazione di un’idea di regìa, nella sua complessa
pittoricità. Opere che rimandano ad una storia finale ma non necessariamente.
Mi sono chiesto se la pittura di
Salvatore Alessi esprima elementi di riconoscibilità del luogo di provenienza e
sino a che punto i suoi luminosissimi ed essenziali quadri c’entrino con la
Sicilia. C’entrano e come! Penso ad Antonello da Messina e ai suoi sguardi che
scrutano, indagano, coinvolgono, creano sensi di colpa, pongono domande. Mai
pittore fu più siciliano di Antonello. Mai più fu descritto, con la pittura, il
senso più vero e profondo del carattere isolano. Credo che il percorso di
ricerca scelto dal pittore si muova su questo assunto. Ne cerca, con fatica e
inusuale rigore, le tracce. Vuole realizzare una pittura di scavo non di
superfice. Nessuna piacevolezza, nessuna concessione all’esteticità della “bella
pittura”. Vuole, di contro, andare in
profondità, per capire. Dipingere per conoscere, non per affermare. In tale
condizione operativa appare conseguente l’aspirazione ad una cultura che
chiede, a gran voce, risposte ai quesiti del nostro tempo, alle contraddizioni della
nostra civiltà.
Le opere dell’artista ostentatamente teatralizzano
il problema del doppio. Precisano le attese dell’uomo e rendono equivocabili le
sue doppiezze. L’uomo si trova costretto a dialogare con l’altro da se.
L’ambigua realtà dello specchio, degli specchi, rimanda lo sguardo agli
sguardi. Alcuni sono interrogativi, altri appaiono persi nei pensieri più inespressi.
Gli occhi resi dalla fissità fortemente criptici, ci guardano, ci scrutano. Il magnetismo
interrogativo, soprattutto l’invariabilità degli sguardi, rimanda agli aspetti
più inquietanti della cultura e dell’anima siciliana. Ed è difficile evitare gli
sguardi dei suoi misteriosi ipnotici ritratti di amici e conoscenti. Coincidono
con quelli di tutti gli altri uomini che furtivi o insistenti comunicano
qualcosa o assolutamente niente negli autobus, nei treni, negli ascensori, in
quegli spazi chiusi cioè che portano le persone a confrontarsi, interrogarsi
soprattutto con gli occhi. Sguardi che si esprimono nel disagio del non
conoscersi affatto, sguardi che vogliono intuire e capire chi ci si ritrova
davanti. Quanta umanità negata dimora in uno sguardo sconosciuto, se non viene
espressa dalla conoscenza e dalla parola. Potrebbero essere sguardi nemici? Sottendere
pericoli? Forse. L’impianto pittorico viene sapientemente apparecchiato in un innaturale
clima di silenzi. Il silenzio che coincide con l’attesa, con la realtà
sconosciuta e ambigua, fonte inevitabile di umanissima inquietudine. Nei suoi
provocatori racconti quanti elementi sconosciuti si evidenziano! Le stanze si
sovrappongono, diventano labirinto, luoghi ambigui da attraversare in tutta
fretta. Stanze alle cui pareti ci sono specchi postati per misurare la propria
fisicità, per certificare l’esistenza in vita dei personaggi. Finestre enormi,
aperte, sottendono spazi sconosciuti. C’è soprattutto aria di spavento e di
attesa, attorno.
Palermo, 2
giugno 2013