Thursday, May 18, 2006

SUL BESTIARIO MARINO (Patrizio Di Sciullo)

"Il guaio è che il collezionista d'acqueforti non può essere un Tizio, banalone, qualsiasi, già innamoracchiatosi dei vistosi coloracci di certuni quadroni: decorativissimi. Il chiasso del colore, l'isterismo ignoto non soltanto a Masaccio ma anche a Piero della Francesca, la barbarie (primitivesca) del colore, il fazzoletto da naso o da collo (coloratissimi) son cose che possono piacere anche agli zulù. Ma ad essi non piacerà mai una acquaforte di Rembrandt: perché mai sapranno leggerla; perché, per leggerla, occorre essere sottili". Polemizzava così, nel testo di autopresentazione: «Gli esemplari unici o rari» (1952) per difendere il suo lavoro d'incisore, il grande artista Luigi Bartolini. Per leggere veramente un'acquaforte occorre essere sottili. Eccola la sacrosanta verità. Su questa verità occorre insistere. Anche per incidere un'acquaforte bisogna essere sottili, ma soprattutto ingegnosi.

Sull'incisione

Non è mai abbastanza dire dell'incisione, quella vera naturalmente, per fugare l'equivoco ingenerato dalle stampe cosiddette "d'arte", frutto solo e soltanto delle esigenze mercantili di galleristi senza scrupoli, preoccupati di catturare un' anonima clientela di cultori dell'arredamento. Poco importa se non esiste la qualità delle stampe, se il procedimento di stampa è fotomeccanico. Sono queste alcune ragioni per cui gli autentici incisori hanno vita difficile. Tra l'altro non è semplice, per il profano, distinguere la differenza sostanziale tra la vera stampa d'arte e tutto il resto. Eppure esiste. Sottolinea la qualità del pensiero e del lavoro. Occorre tanto lavoro per una autentica stampa d'arte, ma molto spesso le qualità intrinseche (correlate da una complessa connessione sincronica fra il "fare" e il "pensare") dell'incisione che da circa sei secoli di tradizione della grafica a stampa rappresenta un patrimonio figurativo che si esprime in capolavori straordinari, non vengono conosciute e riconosciute.
Non è tutto. Ci sono due modi di guardare un'incisione: percepire l'immagine per quella che è, oggettiva, grigio e nero ovvero entrarci dentro, segno per segno, traccia dopo traccia. Ed allora tutto cambia. Il mondo si ingrandisce. L'orizzonte si allarga, si espande. Occupa tutto lo spazio visibile. Diventa non soltanto esperienza, ma godimento puro.

Sull'esperienza

In una stagione confusa come questa, fintamente libertaria, che esprime prevalentemente una cultura rivolta al consumo di massa e che, per tale ragione, avalla manufatti artistici ottenuti velocemente o almeno con poco dispendio di tempo, appare come una pausa, paradossalmente anomala, il paziente lavoro di Patrizio Di Sciullo. Artista, artigiano come ogni vero incisore, lavora da molti anni su un tessuto connettivo strutturale e definito in ogni dettaglio, tipico di chi vuole scavare nella realtà.
Studia al IV° Liceo Artistico e la sua formazione si completa all'Accademia di Belle Arti di Roma. Allievo dell'artista napoletano Mario Scarpati, autore di anarchici ma raffinati disegni urlanti, metafore passionali ed atroci di un'umanità pasoliniana, sofferente e goffa, Di Sciullo ne raccoglie l'eredità d'amore per il disegno e soprattutto per l'incisione. Un vero maestro, Mario Scarpati, poiché il suo ruolo è stato trasmettere non i propri valori espressivi, ma le istanze, i desideri, la tecnica operativa, gli strumenti del mestiere e perchè no, le proprie nevrosi; condurre gli allievi alla ricerca di terre nuove, di inesplorati territori figurativi; spingerli ad affrontare con i propri occhi la realtà osservata; affinare la percezione del linguaggio, per meglio mettere a fuoco la cifra espressiva di ciascuno di essi. Ed infatti Patrizio Di Sciullo non ha nulla in comune con le scoppiettanti e graffianti incisioni del suo Maestro ma pone l'attenzione ad un mondo realistico, alla realtà, in definitiva. E' una "rivolta morale", quasi un risposta "storicistica" all'anti-storicismo del nostro sconquassato presente che ritiene, per beceri interessi di bottega, che l'arte "antica", in quanto tale, sia vecchia e superata.
L'ineliminabile esperienza del passato, oggi, viene dimenticata dalla sperimentazione e dall'improvvisazione poiché tende al consenso immediato, al consumo e a sopravvivere soltanto a se stessa.

Un incontro

Devo al maestro Edo Janich la conoscenza dell'artista di Chieti. "E' opportuno che tu veda i fogli incisi da Patrizio. E' mio ospite, a Palermo. Possiamo incontrarci a San Basilio dove lavoro".
Mi incuriosisce molto l'entusiastica sollecitazione di Edo, solitamente schivo e misurato nelle sue scelte. Vado a trovarlo. Allocato nei fatiscenti locali del dismesso antico complesso di San Basilio, dato in affido ad un gruppo di volenterosi, nello studio provvisorio di Edo, il torchio è fermo. Sento l'odore della carta umida, gli odori dell'inchiostro, della cera calda e degli acidi. Sono in bella mostra sul tavolo di lavoro alcune prove di stampa di Patrizio. Attorno, alcuni giovani del volontariato stanno in rispettoso silenzio.
Penso, mentre ammiro le incisioni, ai bellissimi disegni e alle virtuose esperienze incisorie di Jean Pierre Velly del Bestiaire perdu che vidi esposti alla Galleria Don Chisciotte di Giuliano De Marsanich nel 1980, a Roma. Mi convinco che in qualche modo le atmosfere, la luminosità di un particolare foglio inciso: Arbre et coquillage (1974) albero e conchiglia di Jean Pierre Velly sono nel cuore e nella sensibilità di Patrizio. L'accostamento al mondo animale evocato da Velly (coleotteri, passerotti, pipistrelli, topi, rane, civette e scorpioni) non è casuale. Ne accenno a Patrizio. Un suo sorriso mi da la conferma.

Sulle opere

L'attenzione al mondo animale è antico quanto l’uomo. La storia dei Bestiari, sia negli antichi trattati di Plinio, di Aristotele, di Oppiano, di Eliano, di Beroso, che nei testi medievali di Hogues, di de Saint-Victor, di Richard de Fournival, di Philippe de Thaon, e ancora ai nostri giorni, ha sempre sottolineato il rapporto e le corrispondenze tra l'uomo e gli animali, tra la sua natura animale e quella spirituale. Animali reali e animali immaginari hanno popolato le fantasie e i sogni dell'umanità sin dalle sue prime manifestazioni magiche religiose. Secondo la simbologia astrologica, la luna ha una corrispondenza diretta con i crostacei, le ostriche oltrecchè con le rane, con gli usignoli e con i pesci. Insomma il mondo animale è inscindibimente legato alle paure, alle precarie certezze dell'uomo. Quest'ultimo finisce con il rassomigliare al proprio animale preferito.
Attento studioso dell'arte antica, Patrizio Di Sciullo percorre disinvoltamente la grande tradizione dell'incisione: Dürer, Goya, Rembrandt per citarne alcuni tra i grandi. Graffi e tratti improvvisi costituiscono il suo alfabeto linguistico ed incisorio, mentre, nei disegni, la sapiente trasparenza dei grigi determina la forma, crea atmosfere morbide e sfuggenti. L'elegante incisività del segno, quasi analitico, diventa fondamentale strumento conoscitivo della realtà. La levità e la sapienza grafica nei toni chiaroscurali sono evidenti, soprattutto, nelle rarefatte atmosfere dei disegni che accompagnano, precedono o seguono, le lastre incise. Il percorso stilistico è coerente. Dai primi fogli incisi di "mani", negli anni ottanta, alle recenti "conchiglie".
Una "micromitologia", questa di Di Sciullo, affidata anche ad un suo "bestiario marino" che affronta con sicura omogeneità di linguaggio e coerenza tematica. Diventa compilatore di un atlante marino di "naturalia" dove, però, le suggestioni poetiche si sovrappongono e si integrano alle qualità formali.
Quasi tangibili, delicatamente poggiate sul fondo di un acquario surreale, le sue sono forme guardate molto da vicino. Una incombente stella marina si difende con tanti corni di rinoceronte e le eleganti simmetriche protuberanze sono un pretesto disegnativo per raccontare la meraviglia dell'armonia offerta dalla natura. Un'altra stella marina ed un'altra ancora, attratte da un sole lontano, immerse nei chiarori dell'aurora, filtrate dalle trasparenze dell'acqua, diventano protagoniste assolute delle lastre incise.
In un foglio, alcune pietre lanciate nell'acqua formano cerchi concentrici, illuminati da una stella esplodente, luminosissima. Ancora un'armonica spiralica conchiglia, nel buio fosforescente della finta notte, nel silenzio circostante evocato, esprime intensamente non soltanto una maestosa staticità, ma una nobiltà antichissima, una severa presenza che è già forma assoluta.
In un altra splendida incisione una incorrotta corazza di granchio, una granseola, "così come la mia corazza", appunta come didascalia l'artista, in un luogo dove tutto può essere già stato, attende che avvenga qualcosa sullo sfondo composto da neri e da costruzioni geometriche impossibili.
Improbabili costruzioni e proiezioni geometriche di cerchi e di finte scritture calligrafiche, rese tessiture e trame articolate che intrigano i percorsi visivi, compaiono in molti fogli. Meglio: si intravedono e si integrano nei fondi. Costituiscono la volontà di inventare uno spazio architettonico ma, nel contempo, sensibilizzano lo spazio e rimandano alle architetture delle conchiglie e delle corazze.
Un maestoso riccio di mare scava con gli aculei la luce diffusa e instabile, corrode le ombre mentre “scampi” di una bellezza ostentata e proiezioni di coni vengono mescolati sapientemente alle incise abili ombre riportate delle chele. Improvviso senti una refola di brezza marina. L'ambiente s'abbuia, senza far notte. Ne deriva una sorta di enigmaticità. E' quasi un messaggio di guerra. Una "razza" marina si ferma per un attimo e diventa la protagonista di una straordinaria incisione. Il silenzio è attonito. La luce è struggente. Si disvelano nel nostro immaginario alcune immagini recondite.
Ancora una conchiglia che sta per trasformarsi in un mirabile sole, squarcia la tenebrosità del luogo inventato. Riesce a concentrare una forza centripeta e un movimento di luci ed ombre improvvise. La pace ostentata è cupa. Il fondo marino è come un luogo torpido, misterioso.
Due "scorfanini", in fondo al mare, quasi due complementari Yin e Yang segnano, inequivoca sede di mollezza e di languori, il loro territorio d'amore, il loro nido circolare, formato da una selva intricata di alghe, muschi, radici e segni contorti; segnano il loro spazio esclusivo con l'attesa di un amore sfinito e infinito. L'attesa è già azione. Sono rischiarati dalla luce filtrata dall'acqua del mare. Il silenzio è inspiegabilmente solenne. Il tempo non è misurabile. Nell'acqua si scioglie l'odore del sale.
I baluginii dell'increspatura del mare prodotti dalla luce radente del sole sull'orizzonte mi rendono il senso dell'acqua e del suo movimento come un brivido dell'acqua; ritornano alla memoria i fogli Fleurs (1971), Le ciel et la mer (1969) di Velly e le pulviscolari atmosfere evocate dal grande incisore friulano Janich. Il mare è come un miraggio.
Mirabilmente incisa una millenaria conchiglia, calcificata presenza, raccoglie memorie sedimentate da secoli. In alto, il cielo impassibile sovrasta e affiora dal flusso di tre fonti luminose, mentre in un'altra incisione un "abissale", la rana pescatrice, pesce tipico dei fondali marini, sogghigna innocua e la complice ombra riportata l'asseconda.
Mi è inevitabile, per quei naturali ed inspiegabili processi di associazione, andare con il pensiero alla Melanconia (1514) del Dürer, al furor melancholicus di Saturno; all'incanto dell'attesa della “melanconia dell'artista” che emana dall'interno/esterno della celebre incisione; ai silenzi ammalianti di un mondo capace di interpretare e predire, tra il racconto fantastico e il sogno, la natura profonda delle cose. La tenebra è squarciata dalla luce opportunamente resa dalle sue capacità affabulatorie.
Le acqueforti di Patrizio Di Sciullo, territori di silenzi ammalianti e sognati, manifestano una passione ed un interesse non comuni verso la natura e quello che essa rappresenta per la nostra povera storia di uomini.
Le sue incisioni si fanno libro scompaginato ma coerente nel racconto dei misteri del mare.
E' come se le incisioni fossero una "mise en scene". Ma l'attenzione dell’incisore, per il "bestiario marino", supera l'interesse scientifico, approda sapientemente alla realtà del desiderio. Traduce un'autentica passione per il mare. Mi vengono incontro alcuni versi di Charles Baudelaire (1857). "Uomo libero, tu amerai sempre il mare! / Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima / Nello svolgersi infinito della sua onda, /E il tuo spirito non è un abisso meno amaro."
Si avverte in tutta l'opera di Patrizio Di Sciullo, quell'atmosfera letteraria sospesa e inquietante dei luoghi immaginari de "La palude definitiva" dello scrittore visionario Giorgio Manganelli; si respira, in questo luogo metaforico, una storia antica e nel contempo "torbidamente viva", un luogo "in cui è difficile entrare e impossibile uscire".

Sulle conchiglie

Al Museo Mandralisca di Cefalù, tra le varie collezioni, esiste una straordinaria raccolta malacologica. Ho accompagnato Patrizio Di Sciullo a visitarla. Interessatissimo, alla vista di ogni conchiglia, esprimeva voglia e desiderio di disegnarla. La voglia di scavare dentro la struttura di ognuna, di apparecchiare lastre su lastre e di inciderle pazientemente scoprendone nell'una il colore, nell'altra la forma, nell'altra ancora l'armonia. Una lastra per ogni conchiglia.

Sul rigore del lavoro

Il mercato accoglie con difficoltà il lavoro di artisti rigorosi come quello di Di Sciullo. Secondo le ferree ma discutibili regole del consumo, il rigore appare antieconomico. La produzione dell'incisore è limitata, proporzionale al lavoro necessario. Lenta nel suo procedere. Un'acquaforte richiede tempi non compatibili con la richiesta dei mercanti che preferiscono, per ragioni ovvie, lavorare con artisti che realizzano le loro opere in breve tempo.
Di questo discutevo con Patrizio sulla spiaggia di Campofelice di Roccella, durante la brevissima vacanza che ci siamo concessi la mia compagna ed io, l’estate appena trascorsa.
E' stato quasi naturale che i discorsi ci portassero al mare per la comune e condivisa passione per questo universo liquido e misterioso. Anche se per quello che mi riguarda, in fondo, non capisco del tutto il mare. Mi affascina però l'orizzonte che lo determina ed ancor più ciò che sta al di là di esso. Negli anni '70, poiché ho sognato sin da bambino una nave ma anche perché covo una sorta di rancore, tra l’amore e l’odio, contro la liquidità, contro tutto ciò che altera l'equilibrio apparente del mio corpo galleggiante, ipotizzai una grande lunghissima nave. Lunga quasi quanto tutto il mio disagiato orizzonte visibile che metaforizza la precarietà del vivere, l'instabilità del galleggiamento in questo nostro tempo. Al contrario Patrizio ha con il mare un rapporto ideale, vi si trova perfettamente a suo agio anche come visitatore subacqueo, addirittura potrebbe essere considerato cittadino onorario degli abissi.
"È delizioso restare immersi / in questa specie di luce liquida / che fa di noi / degli esseri diversi e sospesi..." Credo che questi versi di Paul Claudel (1910) ben si accostino allo straordinario mondo inciso da Patrizio. E la luce mutante, protagonista essenziale di queste non comuni stampe d'arte, così come le forme adottate, moltiplicano il reale, lo amplificano e lo enfatizzano.

Bibliografia essenziale:

O.Wirth, Il simbolismo astrologico, 1937; Luigi Bartolini, Gli esemplari unici o rari, 1952; Jean - Paul Clébert, Bestiaire Fabuleux, 1971; Il fisiologo, a cura di Francesco Zambon, 1975; Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica, 1979;
Jean Pierre Velly, Bestiaire perdu, 1980; Giorgio Manganelli, La palude definitiva, 1991.

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