Thursday, May 18, 2006

INNAMORATO DI UN'ALGA

Proprio così. La storia è vera. Inizio subito. Confesso un’istintiva attrazione per le mille immagini che il mare suggerisce. Non mi va di affermare più di tanto. Tra l’altro parlarne mi risulta difficoltoso. Però posso scriverne senza vergogna. Si sa: scrivere toglie dall’imbarazzo d’incontrare altri occhi attenti. Mi è facile così sostenere, scrivendolo, a costo di contraddirmi, che il mare mi attrae ma, in fondo, non mi piace. E mia smisurata avventura mentale, lo vedo soltanto come altri lo hanno visto, come è stato spesso descritto. Lo riconosco attraverso quello che già si è detto. Non mi piace il mare, insomma, poiché m’impaura. Quel che mi sgomenta alla stessa maniera è l’infinito. Più che il deserto, il mare è il grande elemento naturale, potenza viva, che dà la dimensione dell'orizzonte, dell'altrove, del viaggio, il senso di ciò che più ci aggrada. Voglio aggiungere che la spiaggia dell'isola che frequento da molti anni, appartiene alla terra dei miti, delle sirene, dei delfini e dei tonni. In un tempo trascorso i più colti e i più sapienti di noi la chiamavano Sikèlia, altri Triquetra. Nel tempo presente, taluni la riconoscono come Isola, altri Isola Bella, altri ancora Isola del Sole. I più irriducibili innamorati la chiamano affettuosamente Isola della Luce. Ma la verità più vera delle cose vere che molti dicono a proposito e a sproposito di questo luogo, senza conoscere veramente, è che il nome risulta all'anagrafe delle terre emerse: l’Isola del Mare. Ed io dimoro qui, su questa terra che vive in mezzo al mare, da sempre. Da qui scrivo questa storia vera, così come vero, non si ha bisogno di giurarlo, è l’amore.
Per l’antica voglia di starmene un po' solo quando ho bisogno di riflettere, di sgranchirmi l'anima, andai un giorno sulla spiaggia e adagiata mollemente sulla sabbia notai una giovane alga. Mi sorpresi, stupito, come in un risveglio, ad osservarla. Lei era diversa da tutte le altre. Prendeva beatamente il sole e i suoi movimenti erano come il lento sciabordio della schiuma dell’acqua sulla rena finissima. Era stupenda. Approfittando delle delicatissime onde che la trascinavano si lasciava scivolare poco lontano dal gruppo di alghe che invece si rotolavano l’una sull'altra scompostamente. Erano migliaia e formavano quasi delle macchie verdi a perdita d'occhio. La mia spiaggia mutava momento per momento. Ogni istante cancellava l’istante precedente. Sin qui niente di più di ciò che forse ognuno sa immaginare da se. Ma quel che ora annoterò vi farà esitare dal continuare a leggere. Ebbene, in questa occasione, sulla spiaggia, piaccia oppure no, mi sono innamorato perdutamente della bellissima alga colore verde smeraldo. E’ accaduto, non c’è nulla da fare quando ci si innamora veramente. Ridetene pure! Tuttavia sui sentimenti credo non si possa scherzare. Su questo almeno sarete d’accordo! Parlo, come è ovvio, dell'amore vero. Quello fatto di attese, di rispetto, di dedizione. Continuo a scrivere senza imbarazzo. L’amata alga, e non poteva farlo, stava distesa al sole che lentamente si alzava verso l’alto. Il calore aumentava. Non se ne curava l’incosciente! Stava tranquilla lei, giovane sprovveduta, come se nulla potesse accaderle. Capite! Correva il rischio di inaridirsi e di morire. Ed io amorevolmente la spruzzavo di goccioline ristoratrici per evitarlo. La guardavo. Trepidavo per lei. Cercavo un cenno di un suo probabile sguardo. Le parlavo sottovoce, come sono soliti fare gli innamorati di questo mondo. Seducente tentazione era il luccichio del verde bagnato dalle goccioline ristoratrici. Al mio silenzioso ed incosciente amore non confessavo che il mare in fondo non mi piace se pur m’attrae, ma per amore suo la paura scompariva. Raccontarsi per conoscersi meglio. Quale era stata la sua vita passata. Aveva avuto, mio Dio, altri amori, altri spasimanti? Quante cose avrei voluto sapere di lei, del suo giovane passato. Quanti pensieri, quanti turbamenti si sovrapponevano, diventavano una specie d’attesa. Mille ed ancora mille cose avrei voluto apprendere da lei, ascoltandola felice di condividere le nostre vite. Vivere la nostra esistenza terrena condividendo il godimento della felicità. L’amore miracolosamente nega le brutture dell’esistenza ed esalta tutto il bello della vita. Eccolo il miracolo. Potersi intendere appieno. Volere condividere storie diverse. La gioia di essere complici, costruendo una grande insostituibile storia d’amore e diventare amici per sempre. Sono nato sotto il segno dello scorpione, le dicevo, hai accanto un non segno dello zodiaco. Sono contento, insomma, le ripetevo, di essere un segno d'acqua. Avevamo qualcosa in comune. Qualcosa? Tutto, avevamo tutto in comune. Del resto perché negarselo: l’amore cerca l’unità. Non anela, forse, nel corso di una vita da trascorrere insieme, la comunione?
Stando vicini quali emozioni accompagnavano le nostre esistenze, quali inspiegabili brividi ci comunicavamo solo tacendo. La guardavo, intenerito, con occhi sempre nuovi. Eravamo immersi l’uno nel cuore dell’altra. M’era dolce immaginarla, come sposa innamorata ed indifesa. Ci sarei stato io, per sempre accanto, per donarle gioia e serenità. Sarebbe stata pronta a dividere un unico irripetibile destino? Mi domandavo smarrito: e se non riuscissi ad amarla come lei merita o se non fossi stato all’altezza dei suoi sogni, dei desideri d’amore? Ed io avevo il dovere di comprendere i suoi sogni, interpretarli. I suoi sogni sarebbero diventati i miei. Le sarebbero appartenuti per sempre i miei sogni? Avrebbe continuato ad amarmi tutta la vita con la stessa passione, con immutata voglia di vivere? Ero assalito, torturato da dubbi, da angosciose incertezze. Mi entrava nel cuore, lo metteva a nudo; lei, s’impadroniva di me. Le parlavo, le parlavo carezzandola. M’innamoravo ancor più. Ed al sole, sempre più luminoso e caldo, il verde smeraldo dell’amata splendeva. Il brillio era come silenziosa approvazione. Intanto la salsedine si scioglieva sulla mia fronte in gocce di salato sudore per il caldo che aumentava. Avevo paura per lei. Si comportava, inerte ed abbandonata, come una tenera bambina inesperta della vita e dei pericoli del mondo. Era mio, soltanto mio, il compito di proteggerla, di difenderla dalle insidie e dagli imprevisti della vita. Dal calore del sole impietoso. Non è forse implicito l’antico dovere del maschio di proteggere l’amata e il suo amore e il frutto dell’amore? Non è sacrosanto sempre e comunque difendere la vita?
La carezzavo, quell’incosciente, con delicatezza per non farle male. La proteggevo dal calore assassino regalandole goccioline d’acqua salmastra. Goccioline come perle, come iridescenti perle. Pegno d’amore eterno. Sia per la calma circostante che per la tenerezza che ci pervadeva finimmo con il prender sonno. Sulla riva, il nostro letto d'amore, ci assopimmo e diventammo il mare. Più esattamente sognai (ma era sogno?) di essere il mare. Una grande smisurata distesa d’acqua. Meglio ancora potrei dire: diventai una liquidità di emozioni, di sensazioni, di tormenti. Si abbandonava l’amata. Diventava parte integrante di me, dei miei teneri pensieri.
Del mare per chi ben lo conosce, forti ed intensi sono gli odori e i sapori della vita che esso contiene, compresi gli odori delle salmastre alghe. Al contrario delicato era l'odore dell'amata. Intorno, in noi, una stravolgente varietà di pesci nuotava tra ricci, gamberi e murene. Mi perdevo in questi felici vaganti, acquorei pensieri.
L'avvolgevo con il mio amore. Lei, tenera, si lasciava sfiorare con dolcezza, con grazia irripetibile. Le sussurravo tutte le parole più belle che conoscevo ed altre ne inventavo. Con un senso di pudore, quasi di vergogna ed un senso di eccitazione, mi ponevo in ascolto. Sentivo il bisogno di udire, tentazione seducente, di capire il linguaggio delle alghe. Cercavo, tra lo sciabordio delicatissimo dell’acqua, le parole della mia amata. Mi sforzavo di comprendere com’era la sua parlata. Avere la sicurezza di esistere. Ed il silenzio diventava delicato linguaggio d’amanti, d’approvazione, di complice intesa. Perché dirne poiché nessuno costringe a parlarne. Ma non è che il desiderio dell’amore, l’amore. Quello per il quale tutti viviamo, soffriamo, sogniamo. Per lei avrei lottato, soltanto per lei. Nessuna debolezza potrebbe sconfiggere il desiderio e la voglia d’amare. Il perfetto amore annulla la paura. Sospeso nel magico squilibrio dei miei pensieri, come per prodigioso fenomeno, la mia verde alga con suono delicatissimo pari ai suoi movimenti, mi chiamò per nome, finalmente. Avete compreso proprio bene. Pronunziò, o mio tesoro, il mio nome. Almeno ciò mi parve. Ne ero sicuro. Il mio cuore era in subbuglio. Trattenevo il respiro. Ero come stordito. La riguardavo, cercavo i suoi occhi, il suo sguardo e la vedevo. Vedere è vivere, le sussurravo, e i nostri occhi si sarebbero ritrovati sicuramente, le ripetevo. Alzai la mano per proteggerla dal sole cocente e la osservavo nella penombra cercando di vederglielo pronunziare ancora il mio nome. Il mio nome. Che dono altamente prezioso! Ripeté ancora qualche parola, la mia amata, sul mare. Si. Ed ancora aggiunse sottovoce qualche parola. Così mi parve dicesse. ”Mare”. “Amare”. “Mare d'amare”. Amare il mare. Ne captavo i pensieri. Avevo perso il senso della corporeità. Ero una cosa sola con lei verde alga, parola e idea. Suono e musica. Sciabordio d’acqua di mare e parole pronunciate, bisbigliate come solo gli amanti sanno fare. Mi scioglievo sempre più dalla fisicità. Succede molto spesso tra gli innamorati. Ed io, liquido contenitore, salata acqua, innamorato mare, mi chiedevo: “Non dirmi che sei felice”! “Sono felice!". “Siamo felici come si può esserlo cogliendo il senso della vita”. “Rimani come sei, dolcezza infinita e riposa”. “Cogli l’attesa dei silenzi, cogli la forza del desiderio del mio amore”. “Non pensare nulla se non me”. Com’era straordinario rinunciare ad altri pensieri, lasciarsi portare via dal suono, dai suoni. Lasciarsi cullare dalla sospensione delle nostre anime. Il silenzio faceva bene ad entrambi. Liberare il cuore, raggiungere le più alte vette del desiderare. Stavo in dolcissima attesa di un suo cenno, pur se lieve.
Pareva dormisse abbandonata, mio desiderio inconsumabile, nel piacere della sua fragile esistenza. Traboccavamo d’immaginazione, di libertà interiore. Coltivavamo quel sentimento stupendo e bizzarro che ci avrebbe legato per sempre allontanandoci dalle trappole delle parole. Sognavamo l’amore che non sarà mai l’abbraccio di due amanti, sì tanto avevamo smarrito la consistenza delle nostre nature. Eravamo come amorosi poeti, padroni assoluti dei condivisi sogni. Ma sospinti, nel frastuono delle onde, nel segreto più profondo della passione, cullati da immagini dolci e carezzevoli, me e l'alga verde, invaghiti, una cosa sola, andammo a sbattere, gran pioggia di luce, ghirigori e acqua, contro sconosciute rocce insieme volando come bianche nuvole. Senza alcun preavviso giunse, dopo, come del resto avviene nel flusso naturale dell'esistenza e nella conclusione logica dei racconti, anche quelli veri come questo, l’aria fredda e nera della notte.

( Dall’Isola del Mare, d’estate. )

0 Comments:

Post a Comment

<< Home