Thursday, May 18, 2006

IL SEDICI DEL MESE DI.

Sedici. Ne sono più che certo. Era giorno sedici. Era il sedici del mese di. Punto e niente di più. Quale il mese? Un mistero. Anzi, il vuoto. Solo il vuoto nel cervello. Maledetta la memoria che comincia a dare segni di cedimento. Mi sono sempre gloriato di avere una memoria di ferro. Primavera o autunno? Trascorrono, ahimè, inesorabili gli anni. Non ricordo il mese e l'anno.
Dalla città, per allontanarmi dalle sue nevrosi, dai suoi limiti e dall'insufficienza della realtà, mi reco spesso sull’amata spiaggia, dove passo alcune ore scrutando l'intorno, in attesa che qualcosa accada. Qualcosa sempre avviene. Una barca lontana. Un peschereccio. Una nave di linea. Un aereo o una nuvola. Il mare nasconde e offre sempre delle cose a chi è disposto ad osservarlo.
Alle mie spalle, avvezzi alla salsedine, gli alberi dai tronchi brevi e tozzi. Poco lontano, le case abusive delle martoriate coste siciliane.
C'era il sole quel giorno. Del resto c'è sempre il sole quando si ricorda o si vuole ricordare una particolare giornata. Fateci caso. Succede anche nei sogni. Sulla spiaggia, sabbia e cumuli di ciottoli, trascorrevo sereno quella mattina del sedici del mese di. Non ricordo il mese e l'anno. Il giorno invece è sostenuto da un ricordo affettivo a me molto caro.
Alcuni gabbiani volteggiavano su un cumulo di immondizia prodotta dal vicino ristorante, aperto tutto l'anno, poco distante dall'eroica vegetazione. Come sempre fanciullescamente faccio, lo sguardo astratto, elencavo i sassi levigati, i frammenti di vetri iridescenti, le pietre colorate, gli agglomerati informi di plastica, i cartoni deformati, i mozziconi di sigarette, i profilattici usati, le bottiglie e le lattine vuote. Osservavo lo scomposto saltellio delle pulci di mare e gli incauti granchiolini sulla sabbia. Dimenticavo qualcosa. Un altro ricordo, come può ricordarsi un sogno, si presenta oggi alla memoria. Il ricordo di una barca lontana.

Ero tranquillamente affaccendato nella oziosa ma pacificante attività, quando il mare cominciò a mutare. Il cielo cambiò colore, il sole scomparve, in qualche modo l'intorno s'abbuiò. Planavano veloci grandi minacciose nubi cariche d'acqua mentre il mare s'increspava. Sulla linea dell'orizzonte un paio di grosse barche sparirono al mio sguardo. Il paesaggio cambiava e nell' impadronirsi di tutto lo spazio possibile, con arroganza m'assalì il vento. Fui costretto a subire il suo rumore inquietante che colpiva gli ostacoli che incontrava. Passarono solo pochi minuti quando la prima grande onda rovinò sulla sabbia e le pietre. Arretrai.
L'acqua di color verde bruno, rivelava nel suo scomposto movimento, il colore della sabbia smossa e delle alghe strappate dal fondo. Rametti, radici, alghe s'impadronivano della spiaggia ormai un ribollire di schiuma.
Avanzava la mareggiata. Mi piace il suono metallico dei ciottoli che strisciano sui ciottoli. Tutte le cose che approdano sulla spiaggia sono cariche di un racconto; dicono di ciò che sono state. Tutti gli oggetti portati dalle mareggiate sulle spiagge hanno i segni della loro avventura. Ma al di la delle riflessioni avanzava la tempesta del mare ed io arretravo.

Come posso con l'uso attento e controllato delle parole, raccontare credibilmente i toni e i rumori della caduta delle gocce di pioggia sulla sabbia? Non è facile impresa. Soprattutto quando la pioggia diventa, come accadde quel giorno, un furioso acquazzone. Forse potrei descrivere la pioggia che crepita attorno, portando con sé una vita nuova, che alza i profumi nascosti degli oggetti e solleva gli umori forti della sabbia e delle alghe putrefatte; quell'odore disfatto dei rifiuti che restituisce il mare e che colpiscono l'olfatto in modo particolare. L'acqua mi inzuppò i vestiti e i capelli. Il vento e la pioggia frustavano il mio volto. Era come se la natura del mare non volesse la mia presenza né alcun testimone. Stavo lì a guardare. Non vedevo più la barca lontana. La cercai con lo sguardo.

Tenterò di ricostruire il ricordo che potrebbe essere paragonabile e definibile come reale. La rividi, lontana, come una macchia scura. La barca era inspiegabilmente stabile. Le onde torbide, di fronte, in quel mare in tempesta, formavano gorghi. Ferma, contro le ragioni di semplice logica, come maledettamente non poteva essere nel ribollire della furia del mare intorno. Stavo con gli occhi puntati su quella forma ben salda. Come poteva succedere che la barca fosse incrollabile contro la furia delle onde.
La violenza della pioggia si accaniva contro gli occhi, contro il mio indifeso corpo ma ero lì, senza parole, sedotto da una sagoma immobile sul mare. Il tutto m'appariva, vicenda surreale e improbabile, come la visione di una barca fantasma. Era una presenza, senza governo umano, che raccontava una storia antichissima. In modo particolare pareva mi esprimesse la perversità degli oggetti inanimati. M'assalirono sensazioni di disfacimento e di luttuose premonizioni.

La battaglia mi si rivelava diversa dalle altre molte battaglie tra il legno e l'acqua; assumeva in quel frangente le caratteristiche dell'impari duello tra il mare in tempesta e la barca che il mare vorrebbe trascinare tra i flutti ed inghiottire. Sopraggiunse nel mio cervello un inopportuno odore di ceppo bruciato. E la barca stava là indifferente ad ogni furia, ad ogni attacco violento. Sospesa miracolosamente sull'acqua, quasi un osso di seppia violentato dalle onde, era aggredita da tutti i lati. La barca, lottava con la sua innaturale fermezza. Ero rapito da tanta sicurezza. L'avversità non la rendeva cedevole. Stavo vivendo una bizzarria, fuori da ogni logica; ero testimone di una stranezza, quasi di un perverso racconto allegorico. L'eroismo della barca stava nel suo trionfo sulla furia del mare, nell'essere indifferente alla violenza subita e ben salda. Al di là del suo destino, percorreva una strada verso la nobiltà; quell'orgoglio indifferente alla lotta, all'estenuante battaglia, conduceva sicuramente al successo. In pochi istanti imparai a conoscere e rispettare la barca e la sua salda fermezza che contrastava la rovina, l'accanimento delle forze naturali. Voleva ella, essere inanimato ma potente, sopravvivere alla distruzione e alla morte. Era come se vivessi, quel giorno, in un moltiplicarsi di echi e suggestioni, l'impossibile passione tra un uomo e una barca che diventa contro la sua stessa volontà e ragione, il personaggio di un racconto d'amore.
Dico ciò poiché in questa mia contemplata ammirazione, la barca diventava creatura, elemento vivo tra gli elementi, fino a dominare il mare che la insediava. Pareva sostenuta come da un demone che conosce il fatto suo. Oh giorno indimenticabile! C'era qualcosa di magico, di sapientemente sovrannaturale nella sua maestosa fermezza. Proprio nel suo tempo sospeso ne avvertivo il controllo della paura di essere risucchiata dal mare in una inesorabile sconfitta. La sua volontà di vita diventa, ancora oggi al ricordo, davvero metafora dell'esistenza, racconto inesauribile di vitalità ed insegnamento profondo.
Le onde minacciose s'intrecciavano, si accanivano decise contro una fragile imbarcazione incagliatasi, fortunosamente, in un provvidenziale minuscolo scoglio.

Dicembre, 2003

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